Alla prima udienza generale del nuovo anno, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, Papa Francesco ha colpito ancora. Rivolgendosi ai fedeli ha parlato di rivoluzione, vangelo, ipocrisia. Parole forti, piene di pathos comunicativo, dirette e capaci di dare il segno di quanto siano “vere” nel rendere chiaro ciò che pensa chi le ha pronunciate.
Tutti i giornali di oggi pubblicano la notizia più o meno con questi titoli: … Papa Francesco: “Meglio vivere da atei che da cristiani che odiano e sparlano”
Dette così sembrano persino “giuste”. Già! Solo che io ho ascoltato quelle parole ed essendone rimasto colpito, per non sbagliare, le ho rilette fino a trascriverne il passaggio centrale. Questa la trascrizione letterale:
“Quante volte noi vediamo lo scandalo di quelle persone che vanno in chiesa, stanno tutta la giornata lì, vanno tutti i giorni, e poi vivono odiando gli altri o parlando male della gente. Questo è uno scandalo! Vivono come atei”.
Cioè: noi atei (quindi anche io) viviamo odiando gli altri o parlando male della gente!
Guardo da tempo con indulgenza alla rozzezza con cui tanti credenti rappresentano la realtà: hanno bisogno di chiamare Dio l’esistente, usano categorie come bene e male come “espressioni del divino o del diabolico” piuttosto che riconoscere il libero arbitrio e la responsabilità, attingono a piene mani agli istituti del “peccato e del pentimento” per giustificare a se stessi il fatto che non basta credere per essere “giusti”.
Ma, mi chiedo: perché per dire una cosa giusta (cioè condannare l’ipocrisia di tanta parte dei cattolici) il Papa, invece di fare i conti con le contraddizioni e le piccolezze del suo mondo (quello di una parte dei credenti) usa chi non crede come metafora del “negativo”.
Che bisogno c’era di dire “vivono come atei” se non per un riflesso condizionato da una cultura che considera gli atei come portatori di una condizione negativa?
Si mettano in pace i credenti (anche quelli “illuminati” come questo Papa) …. l’essere Ateo è un impegno che non ammette scorciatoie e che ci costringe, continuamente, a fare i conti con la nostra coscienza di esseri umani senza indulgere all’idea che, in fondo, “siamo tutti peccatori” e senza chiedere a nessuno perdono dei nostri peccati.
Un impegno che ci costringe a fare i conti con la nostra coscienza sociale e il senso profondo della vita che per qualche decennio vivremo in questo corpo.
E’ un impegno faticoso e non abbiamo tempo per “odiare gli altri e parlare male della gente” come il Papa sostiene fanno tanti cattolici che “vanno in chiesa” e “stanno li tutta la giornata”.
Insomma parlate di voi e fate i conti con la vostra coscienza come qualsiasi non credente fa con lapropria
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