Articolo di Gianni Fabbris
pubblicato su Dadzebao giovedì 11 giugno 2009
Leggete con attenzione questa frase e, poi, rispondete alla domanda: chi lo dice?
“Diventate contadini! Nel mondo ci sono oggi decine di migliaia di gestori di fondi azionari. Di conseguenza, se le mie previsioni sono esatte, la comunità finanziaria non sarà certamente un grande posto dove stare nei prossimi trent’anni. Abbiamo avuto molti periodi della storia durante i quali i broker finanziari hanno primeggiato, e abbiamo avuto molti altri periodi nel quale il mercato è stato dominato da persone che producevano beni reali, quali minatori, agricoltori, petrolieri e così via. Il mondo a mio avviso sta cambiando e si sta
allontanando dai broker finanziari, spostandosi nuovamente verso chi produce beni reali ed è probabile che questa tendenza duri ancora per parecchi decenni. Questa previsione potrebbe suonare strana, ma è sempre accaduto in questo modo nel passato. Tra 10 anni potremmo vedere agricoltori che guideranno Lamborghini e broker azionari che guideranno trattori o al massimo dei taxi.”
Chi lo dice? Un inguaribile retrò? Un visionario eccentrico? Un militante fiancheggiatore della causa contadina?
No! La frase è tratta da un’intervista rilasciata ad un quotidiano indiano da Jim Rogers, il famoso economista noto per avere previsto in anticipo i maxi rialzi del petrolio del 2007-2008. Rogers è parte di una sempre più nutrita schiera di analisti ed economisti che prevedono un prossimo futuro di iperinflazione per gli USA e diversi altri paesi occidentali.
Cosa c’è di più sicuro della terra? Comprarla! Ma per farci cosa?
I gruppi di acquisto della terra
Da Mantova arriva la proposta lanciata dall’Avvocato Rosanna Montecchi di costituire i GAT (Gruppi d’Acquisto della Terra) per dire “Addio alla banca, di cui non ci fidiamo più, unendo le forze per comprare la terra”. E’ un’idea semplice: quella di mettere insieme dei risparmi, comprare terra e metterla in produzione affidandola a dei contadini per produrre cibo e gestirla. E’ un’idea che unisce l’esigenza di investire i nostri risparmi con quella di destinarli ad un uso socialmente utile e di garantirsi un ritorno. Anzi, di garantirsi più ritorni: finanziari legati alla rendita, economici legati al ciclo economico della produzione del cibo, sociali in funzione del mantenimento di un ‘attività di cura del territorio e di produzione di lavoro, culturali, ecc..
Sarà così che accadrà? La semplice convenienze economica, comunque di per se condizione necessaria e certamente di fondo per il recupero del ruolo dell’agricoltura e dell’uso della terra, sarà capace di spingere la società a reinvestire nella produzione del cibo riconoscendone il valore strategico per uscire dalla crisi in senso più giusto ed equo socialmente ed ecologicamente?
Troppi sono i segnali che indicano altre direzioni per i nuovi investitori che comprano terre. Una promozione pubblicitaria per una importante società italiana quotata in borsa e specializzata in acquisto di terreni agricoli ed edificabili (ne ha accumulati in “portafoglio” 7 milioni e mezzo di metri quadri) recita: “Investire in terreni significa semplicemente comperare la terra e mantenerla in portafoglio per usi futuri. Il migliore momento per acquistare terreni è proprio nella primissima fase, quando i prezzi sono ancora abbordabili e i potenziali per crescita e profitti sono ancora più grandi. Investire in terreni è un business senza fine. Il potere della terra è universale. La pressione determinata dall’esplosione della popolazione per insediamenti in posti ancora poco sviluppati sta creando enormi possibilità di profitto che non saranno più ripetibili nel futuro. ”
La terra si compra con quattro soldi
Ecco detto! E cosa c’è di più facile oggi che comprare per quattro soldi, in Italia, le terre all’asta degli agricoltori in crisi o quelle abbandonate dai loro figli che non hanno alcuna intenzione di continuare ad accumulare debiti spaccandosi la schiena per un lavoro che non ti remunera?
Questa stessa società ha costituito una sezione di business per l’Energia: il nuovo grande settore di speculazione che sta sottraendo terre alla produzione. Manipoli ben addestrati di venditori e compratori stanno girando da almeno due anni nelle campagne proponendo agli agricoltori indebitati di cedere loro per un uso ventennale o trentennale le terre per installarvi impianti di produzione di energia offrendo loro una rendita che, comunque, la produzione dell’agricoltura industriale non è più in grado di garantire.
A chi ed a cosa servirà comprare la terra? A produrre il cibo ed i servizi collegati al ciclo della produzione e consumo o a speculazioni improduttive o, comunque, ad un uso che ci sottrae agricoltura e aziende agricole, lavoro, culture, tutela dell’ambiente per considerare la terra viva come un qualsiasi spazio sterile, utile supporto per ogni attività che crei denaro ma non più la produzione primaria, i servizi ad essa collegati e le conseguenti relazioni sociali ?
Ogni anno 80 milioni in più di bocche da sfamare
Ad ogni modo, la garanzia di un’agricoltura che produce il cibo, contro un uso della terra improduttivo, non basta a restituirle una funzione sociale utile alla democrazia. Nella home page dei fondi di investimento di Deutch Bank, si legge: “Ora disponiamo all’incirca la metà delle terre coltivabili per persona di qualche anno fa. Ogni anno ci sono 80 milioni di bocche in più da sfamare. Investi nel commercio alimentare”. Così, speculando sul diritto all’alimentazione, gli stessi che hanno provocato la crisi finanziaria globale, inducono al crollo dei prezzi alla produzione (che uccide i contadini) senza che questo generi benessere per i cittadini.
Hanno ragioni quanti propongono i GAT: quella di lavorare a comportamenti etici, sostenibili e socialmente consapevoli ed orientati dei cittadini sono obiettivi imprescindibili. L’etica della finanza, del risparmio, della produzione e del consumo si tengono insieme e vanno posti alla base di un’azione sociale forte che coinvolga i cittadini.
Occorre, però, altro. Per recuperare spazio a queste azioni sociali occorre sottrarlo a quello dei nuovi strateghi della speculazione finanziaria e del business globale, che come moderne fenici risorgono dai loro fallimenti. La conquista per la Sovranità Alimentare passa per la loro sconfitta. Culturale e materiale. Per questo dobbiamo saper coniugare i comportamenti e l’agire sociale consapevole con la battaglia politica per il cambio delle scelte nazionali, europee ed internazionali in agricoltura, a favore dei contadini e dei cittadini
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